Il calcio è ormai noioso.
La qualità è tutta concentrata in poche squadre che hanno molti più soldi da investire delle altre, in una polarizzazione che rispecchia quella della distribuzione della ricchezza mondiale. Inoltre aumentano le competizioni, le partite per ogni competizione, le squadre iscritte ad ogni competizione. In questo modo, supponendo una qualità costante, la poca che avanza dalla concentrazione nei grandi club è spalmata e diluita in una miriade di altri team.
Si aggiunga il fatto che è possibile vedere qualsiasi cosa, e, almeno per me, la frustrazione dell’impossibilità materiale di seguire tutto provoca una reazione di rifiuto ed abbandono. La settimana è satura, ci sono partite ogni giorno, ad ogni ora e programmi di approfondimento.
Giocando così tanto non si esprime un livello qualitativo del gioco appagante e costante nell’arco della stagione e delle singole partite. Ci sono pause, match giocati con scarse motivazioni mentali e poche energie fisiche; gare di campionato tra squadre di livelli nettamente diversi che si risolvono in tediosi assedi sottoritmo in attesa di una singola giocata, che costringono lo spettatore a 90 e più minuti di rassegnazione sul divano.
Non aiuta il nostro punto di vista “privilegiato” di italiani. Da noi mancano anche i club ricchi, quindi l’appiattimento è totale, le partite decorose nel corso di una stagione si contano sulle dita di una mano, e se una squadra è un attimo più organizzata stravince il campionato togliendo quel poco di pathos che derivava dall’attesa dei risultati.
Le motivazioni a seguire questo sport calano ulteriormente se si analizzano le vicende politiche che vi stanno dietro. Personaggi che sembrano usciti dagli anni ’70, tanto che anche la fotografia dei servizi nei telegiornali si deforma per tornare a quel periodo, che incarnano una mentalità piccolo borghese connotata dalla furbizia pelosa, dal vantaggio nell’immediato privato di una qualsiasi visione programmatica del futuro.
Perché non si riesce dunque ad abbandonare completamente il calcio?
Perché ci sono momenti di splendore, sorta di apparizioni luminose che squarciano le tenebre della noia, per le quali vale la pena passare ore inutili davanti al televisore. Azioni collettive, gesti tecnici clamorosi e impensabili, irrealizzabili dalle persone comuni (che comunque proveranno ad emularle nei campi amatoriali di calcio e di calcetto), che esaltano e lasciano l’emozione tipica di quando si ha il privilegio di assistere a qualcosa che esce dall’ordinario, che va vissuto, memorizzato e raccontato.
Uno di questi momenti si è verificato ieri sera, in Burnley-Chelsea, prima giornata del campionato inglese; il gol del 2-1 è un esempio di azione collettiva coordinata ed orchestrata con la precisione di una coreografia, dimostrazione che avere tanti buoni giocatori insieme qualche vantaggio sull’avversario lo porta. Ma l’opera d’arte è l’assist di Fabregas: al volo di controbalzo sistema il pallone all’altezza giusta, con la velocità giusta, per permettere un comodo appoggio in rete a Schurrle, sorprendendo e prendendo in controtempo la difesa avversaria che si aspettava probabilmente un tiro al volo.
Chiaramente dopo il gol del 3-1, al 34′ del primo tempo, la partita è finita, e si è trascinata stancamente ed inutilmente per altri 60 minuti. Tutto il bello ed il brutto del calcio.