Il Salvatore

Il sangue di Kent Brantly può salvare dall'ebola.

Lo scenario è ideale per un messia: per il mondo si prospettano tempi bui; morte, distruzione, catastrofe, tutto sfumato seppia. Il male prospera sia all’interno che all’esterno della Fortezza Occidente.

Dentro le mura imperversa la crisi economica e sociale, da tempo non si viveva una situazione del genere. Dopo gli sconvolgimenti dell’ultima guerra si era diffuso il benessere a macchia d’olio, niente sembrava potesse rovinare questa situazione idilliaca, il futuro non era minaccioso ma prometteva ancora progresso e felicità. Invece all’improvviso si è rotto qualcosa, il lavoro è venuto a mancare, di conseguenza i soldi per i consumi e la speranza per sé stessi e per i propri figli. I notabili della Cittadella si distaccano sempre di più dal volgo, si separano dal resto della società forti delle loro ricchezze, che aumentano esponenzialmente rispetto a quelle dei loro sottoposti. L’armonia è un lontano ricordo, ci si divide in fazioni e si lotta l’un contro l’altro, pur avendo un comune nemico: la Casta.

All’esterno crescono e prendono vigore due pericoli di tipo diverso.

Da una parte i barbari tagliagola, che fanno mattanza dei cittadini avventuratisi fuori dalle mura, e che minacciano di conquistare la Fortezza spinti dal loro Dio. Una minaccia nata in terre  produttrici di risorse fondamentali  per il funzionamento della vita economica della Città, un tempo controllate direttamente o attraverso collaboratori autoctoni, ma ora lasciate a loro stesse e degenerate in preda a manie revansciste.

Dall’altra un virus misterioso proveniente dal cuore delle foreste africane, passato all’uomo, per sortilegio, dalle scimmie e dai pipistrelli. Una malattia terribile e truculenta, che annienta il corpo dall’interno, lo piaga e lo fa scoppiare in una enorme bolla di sangue. Inizialmente non faceva paura, era corredo esotico di racconti su popolazioni lontane e mondi sconosciuti, ma poi l’esplosione di un’epidemia spaventosa ed i contatti sempre più intensi tra centro e periferia della contea l’hanno portata fino alle porte della Fortezza.

Per nascondere la povertà interna, e per proteggersi dai pericoli provenienti dall’esterno,  i governanti della Cittadella hanno deciso di sollevare i ponti levatoi e di intensificare i controlli verso chiunque bussasse alla porta. Vengono accolti con tutti gli onori i principi orientali e la ricca corte dell’imperatore rosso di Cina, portatori della liquidità necessaria ad un disidratato Occidente per poter sopravvivere. Tutti gli altri, le persone comuni, vengono sottoposte a rigidi controlli: sulla provenienza, sulla religione professata, sui loro ultimi spostamenti, per appurare che non siano affiliati ai barbari; sulla temperatura corporea, sulle condizioni del sangue e dell’apparato digerente, per accertare che non siano untori, bombe umane scagliate all’interno della Città.

Quello che era il pericolo che aveva avuto maggiore presa sul popolo, la paura dei barbari, è ancora confinato al di fuori delle mura, anche se le voci corrono e se ne sono prodotte di attentati probabili o sventati alle piazze più importanti della Città, corroborate dalle minacce di presa della Cattedrale diffuse dai tagliateste attraverso i mezzi di comunicazione. Invece ha già fatto breccia e oltrepassato le difese dell’Occidente la terribile malattia.

A importarla è stato Kent Brantly, medico in missione nelle terre sperdute d’oltremare e contagiato dal virus. Lo si è voluto curare all’interno dei bastioni, e questo ha provocato una brusca reazione nel popolo: chi sosteneva che lo si dovesse lasciar morire in quelle lande lontane, chi che non avrebbe mai dovuto uscire dalla Città per curare popolazioni inutili, povere e ignoranti, che quella era la sua giusta punizione e che la solidarietà e la compassione sono ormai disvalori non affini al verbo della produttività.

Deriso, vilipeso e bistrattato il povero missionario è riuscito però a guarire. E qui il suo secondo peccato grave: la società occidentale aveva ormai da tempo nella sua maggioranza abbandonato superstizioni ed idee metafisiche per tributare fiducia incondizionata alla scienza ed al progresso, mentre lui presentandosi alla folla all’uscita dal Lazzaretto ha ringraziato Dio per averlo salvato. La reazione è stata violenta, “ma come, noi lo salviamo grazie alla nostra tecnica e al nostro sapere, e lui ringrazia qualcuno che non esiste e che quindi non può aver fatto nulla per lui”. Si è preferito farlo finire al più presto nel dimenticatoio. Di questa esperienza rimaneva la certezza che la progredita civiltà della Fortezza poteva tranquillamente guarire gli ammalati e sconfiggere il virus, pericoloso solo tra le povere genti delle terre lontane.

Purtroppo sono arrivati altri contagiati, e sono cominciate le morti. Le cure promesse dalla cultura cittadina non sono ancora pronte per essere utilizzate in vasta scala, e soprattutto non sembrano funzionare nella totalità dei casi. Le conseguenze non si fanno attendere: il popolo precipita nell’irrazionalità, si diffonde il terrore e la caccia all’untore, si evitano i contatti e la frequentazione di luoghi affollati, si sospetta di chiunque. Un clima millenarista da fine del mondo, la paura dell’estinzione, la rassegnazione ad una morte certa ed inevitabile, il fatalismo.

Nel momento più buio, quando tutto sembra perduto, si illumina una speranza. Si scopre che forse il plasma del sangue delle persone guarite può aiutare gli ammalati, le prime evidenze lo confermano. Di colpo il povero medico Kent Brantly passa da paria emarginato a messia portatore della salvezza al proprio popolo. Maltrattato, respinto, umiliato, si prende la propria rivincita dalla croce e con il proprio sangue, che ha sconfitto il male, può redimere coloro che lo hanno disconosciuto.

“Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati”. Il destino della Fortezza passa per il corpo del giovane medico, svuotato dal plasma come un pozzo dal petrolio.

 

 

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