La caduta del muro ha avuto anche ripercussioni negative.

Il 9 Novembre 1989 cade il muro di Berlino. A 25 anni di distanza si celebra questo avvenimento come qualcosa di straordinariamente positivo, una festa di liberazione nazionale e internazionale. Si riunisce la Germania, divisa tra i due blocchi di potere che combattevano la guerra fredda; si riunisce il mondo: la data diventa simbolo del crollo del mondo sovietico, o del socialismo reale, anche se l’ultimo effettivo respiro del gigante avverrà a cavallo tra il 1991 ed il 1992.

Il senno di poi storico, corroborato dall’emergere dei documenti resi inaccessibili dalla barriera della cortina di ferro, ha reso evidenti oltre ogni ragionevole dubbio  (“la storia la scrivono i vincitori”), gli orrori e gli errori commessi da un regime che ha ucciso o privato delle più elementari libertà la popolazione sottomessa al proprio governo.

Ma per una parte del mondo occidentale, ed in particolare per quelle enclave rosse come l’Emilia nella quale sono nato e cresciuto, il crollo del muro è coinciso con il crollo di un’ideale positivo verso cui tendere, della possibilità di un mondo migliore, di un’utopia paragonabile alla promessa di paradiso della religione cattolica.

In sostanza per i comunisti emiliani, o almeno per il mondo comunista che ho conosciuto, è come se il 9 Novembre 1989 dio fosse morto un’ennesima volta. Tutto questo non fu evidente nell’immediato, o almeno credo (ero troppo piccolo), ma lasciò una nostalgia e una malinconia che si accrebbero con il passare del tempo. La storia perse il suo scopo,  il suo essere un avanzamento continuo segnato dal progresso verso il sole dell’avvenire; si dipanò di fronte al credente comunista un immenso deserto immobile in cui sopravvivere, un eterno presente senza spinta ideale. Certo una gabbia dorata, dotata di tutti i comfort materiali che un’evoluta società capitalistica occidentale era ormai in grado di fornire diffusamente in quegli anni. Ma si erano perse le motivazioni alla rinuncia, al sacrificio, all’abnegazione al dovere che riunivano i militanti e la rendevano una comunità coesa e compatta. Le macerie del muro erano le macerie di un mondo che era crollato per sempre ancora prima di essere costruito.

L’essere comunista era sposare una visione del mondo, strutturata e compresa non attraverso i grandi classici o le opere teoriche; nessuno aveva letto Marx, al massimo riassunti, semplificazioni, lezioni in cui il pensiero del filosofo era stato predigerito e riconfezionato dal partito. Stessa cosa per Gramsci, Lenin, Togliatti, Stalin. Era un’aderire ad un insieme di valori che definivano un noi ed un loro, rafforzavano il gruppo e nell’opposizione all’altro lo rendevano più coeso.

E l’adesione era totale, indiscussa, tale da conformare completamente lo stile di vita. Mio nonno nel portafogli aveva i soldi, le tessere del partito, della coop, del sindacato, dell’Arci, la foto di Togliatti e di Stalin,  ma non quella di sua moglie o dei figli. Non si lasciava entrare il prete in casa per per permettergli di benedirla; si diffidava e si sospettava di chi andava a messa, se ne parlava sempre e comunque male, vi si intrattenevano rapporti ipocriti. Non ci si sposava in chiesa, ma in comune. Non si celebravano i funerali in chiesa, ma si andava al cimitero con la banda e le bandiere: del partito, dell’internazionale, del sindacato (chiaramente e solamente la CGIL).

I leader erano infallibili, nel momento in cui il conclave del congresso li nominava papi di questa religione atea, razionalista e laica, assumevano in sé stessi la Verità assoluta. Li si voleva toccare, la loro apparizione ai comizi o in tv era un momento di gioia accolto tra il giubilo ed il religioso silenzio. Non si poteva dissentire da loro, criticarli, nemmeno all’interno delle mura domestiche. L’ortodossia era uno dei principali valori, l’obbedienza alle direttive era ritenuta necessaria per avere la speranza di realizzare il mondo migliore.

Tutto lo scorrere della vita quotidiana era improntata alla “religione”: dopo il lavoro si andava al circolo o alla sezione; la Domenica mattina ci si alzava presto per distribuire l’Unità; una volta al mese si faceva la spessa “grossa” rigorosamente alla COOP e si disprezzava chi si riforniva al Conad; i week end erano scanditi dalle manifestazioni di piazza, dal porta a porta per “insegnare come si vota”, dai pellegrinaggi di testimonianza alle varie feste di partito sparse per la regione, dalle gite organizzate per i gemellaggi con le sezioni delle altre città.

Il lavoro era sacro, ma solo quello da dipendente: non era onorevole sfruttare il lavoro degli altri per arricchirsi, ci si trasformava nel “padrone”, nel nemico da combattere ed abbattere. Sul modello di Stakhanov, era glorioso ammazzarsi di fatica, sia fisica che intellettuale, fare a gara a chi lavora di più, non smettere fino a che non si completava il compito o dimostrarsi superiori concludendo più compiti degli altri. Ma non all’interno della propria professione, perché sarebbero stati straordinari conferiti al Capitale; bensì nel volontariato, nel fornire la propria opera gratis al partito, al sindacato, ai compagni: facendo i baristi al circolo, montando gli stand delle feste, prestando servizio come camerieri, cuochi o sfogline nelle cene di autofinanziamento. La nobiltà del singolo derivava dal sacrificio per gli altri.

Si riteneva che attraverso l’abnegazione, la disciplina, l’annullamento della propria soggettività nella volontà generale e nella causa comune si potesse finalmente raggiungere la città di dio e abbandonare le sofferenze del presente materiale e terreno. E l’immagine filtrata che proveniva da oltre cortina era lo specchio nel quale cercare le conferme dell’efficacia della propria condotta. Nell’est europeo c’era la piena occupazione, istruzione e case per tutti, un livellamento sociale che impediva la presenza di ricchi, delle loro proprietà e dei loro lussi che in Occidente venivano sbattuti in faccia ai proletari, stimolando in loro l’odio ma non l’invidia: nessun comunista avrebbe voluto possedere quei beni simbolo di moralità distorta e di infedeltà. Lo sport, i successi olimpici degli atleti sovietici fornivano una rappresentazione efficace e plastica dell’uomo nuovo, dell’oltreuomo comunista, superiore per forza ed etica all’atleta occidentale; non per doti naturali, ma per una trasformazione compiuta attraverso la dedizione, il sacrificio, l’attaccamento ai valori propri di una causa più elevata. Gli abitanti dell’Europa dell’est, ma soprattutto i russi, erano di default persone fantastiche, trattate con la reverenza ed il rispetto dovute a persone migliori, più evolute lungo il percorso di redenzione.

Si era amici e fratelli di persone lontane e sconosciute, si aveva fiducia reciproca preventiva, ci si riconosceva e ci si stimava tra gruppi di ignoti, perché si sapeva di avere la stessa visione della vita e di condividere un obiettivo comune relativo alla salvezza dell’umanità.

Con il crollo del muro tutto questo è gradualmente venuto meno. Si sono cercati succedanei, si è finta una trasformazione ed una maturità politica che lasciavano comunque l’amaro in bocca ai vecchi militanti. Si celebravano nuovi riti politici coerenti alla democrazia che celavano in ogni caso la nostalgia di un passato a cui non si era mai rinunciato, nella speranza che riemergesse in una qualche forma dopo un necessario periodo di corsa sotterranea e camuffata.

Ora non rimane nessuna spinta ideale, nessun obiettivo, nessun motivo per cui sacrificarsi, nessuna spinta al proprio miglioramento, alla trasformazione nel superuomo comunista. Anche l’ultimo ostacolo ad una condotta nichilista è stato rimosso, non rimane che abbandonarsi all’accidia priva di scopo.

 

Il rapporto tra Scalfari e la Chiesa cattolica

Sono un lettore di Repubblica. Un po’ me ne vergogno. Sono consapevole del fatto che sia politicamente schierato; che nella sezione delle notizie estere segua il sensazionalismo mediatico e non curi la completezza del quadro (caso più recente, la protesta ad Hong Kong, scomparsa nel nulla dopo le paginate dei primi giorni); che le pagine di Cultura siano carenti, dettate da innamoramenti, mainstream, e pressioni editoriali; che le recensioni del film non siano affidate a critici professionisti ma a giornalisti reinventati.

Ma non ho trovato di meglio, e un quotidiano lo devo pur leggere.

In questi ultimi giorni c’è una cosa che mi da particolarmente fastidio, e che sto cercando di spiegare a me stesso: l’eccessiva attenzione data dal giornale al Sinodo sulla famiglia.

La Repubblica nasce come giornale legato alla sinistra, e nella sua storia editoriale ha proseguito su questo tracciato, tanto che negli ultimi anni sono state famose le sue battaglie contro Berlusconi (condizionate anche dalla guerra personale contro lo stesso soggetto dell’ editore De Benedetti) e di riflesso contro la CEI, in quel periodo guidata dall’ultraconservatore Ruini, che lo appoggiava cercando di manovrarlo come estremo baluardo a difesa dei valori tradizionali. Inoltre è considerato il giornale ufficioso del Pd, viste le pagine che dedica al partito ogni giorno, anche se in questo momento in opposizione a Renzi, perché inviso al padre/padrone Scalfari, che detta l’umore all’intera redazione.

Negli ultimi tempi, sempre ad opera di Scalfari, si nota una misteriosa apertura al mondo cattolico, un dialogo che si vuole di incontro tra laicità e Chiesa per giungere a valori comuni ed universali.

Comincia tutto con le interviste, gli scambi epistolari, l’amicizia, tra Scalfari ed il Cardinale Martini; alle firme di Repubblica viene aggiunto Vito Mancuso, teologo “liberale” che non accetta e mette in discussione alcuni dogmi tradizionali, con il ruolo di maître à penser di questa primavera religiosa nella quale si è imbarcata la testata; le messe cantate domenicali (gli editoriali di una pagina scritti da Scalfari ogni domenica) trattano sempre più spesso del suo rapporto con la fede, con la figura di Gesù, con i valori ed i dogmi della Chiesa. Ultimamente l’innamoramento nei confronti di Papa Francesco: l’agiografia quotidiana che lo descrive sul giornale come una figura rivoluzionaria, infallibile, eroe positivo al di là dei confini del reale, che con sforzo titanico ribalta dall’interno una Chiesa incancrenita.

Per ora ho formulato tre ipotesi che possano spiegare questa crisi mistica:

  1. Scalfari è vecchio e sente avvicinarsi la morte. In modo umanamente comprensibile sta stendendo un bilancio della propria vita e cerca di riconciliarsi con una realtà che ha combattuto ed avversato in precedenza. Nella religione ci sono molti elementi consolatori e di conforto, utili in momenti come questi, e il modo in cui il cardinal Martini ha affrontato la propria fine può essere d’esempio anche per chi si definisce laico. Trovare rifugio in una Chiesa riformata e maggiormente aperta alla modernità nel momento della dipartita è tollerabile, ma a livello personale; non c’è motivo di ammorbare l’intero giornale.
  2. Nel momento in cui la parte tradizionale e conservatrice  del mondo cattolico ha perso potere all’interno della Chiesa con l’uscita di scena di Ruini e di Bagnasco, e rappresentanza all’infuori di essa con il crollo elettorale e di credibilità di Berlusconi e del suo partito, si cerca di portare l’elettorato cattolico all’interno dell’alveo elettorale del Pd. Esaltare il portato di riformismo sociale, di solidarietà verso la parte debole della società, di accettazione delle trasformazioni dovute alla contemporaneità, può creare una sinergia tra potere religioso e centro-sinistra ed indirizzare le indicazioni di voto dell’apparato ecclesiastico verso lo schieramento politico di cui Repubblica è manifestazione non ufficiale.
  3. Il crollo delle ideologie Otto-novecentesche combinato al momento di difficoltà attuale, dovuto alla crisi economica, impongono di trovare nuove certezze cui aggrapparsi per evitare uno sfaldamento sociale della comunità civile. Con questo obiettivo Scalfari sta cercando di costruire un nuovo rifugio, riplasmando la religione cattolica per renderla più moderna ed accettabile alla maggioranza degli individui.

Qualunque sia il motivo reale tutto ciò si concretizza in una morbosa attenzione quotidiana sull’elaborazione della liceità della comunione ai divorziati.

Non nego che l’argomento possa essere interessante ed abbia una sua notevole portata storica e filosofica. Ma appunto dovrebbe essere affrontato solo dagli specialisti, nei loro ambiti di ricerca: storici della Chiesa, teologi, filosofi, storici della cultura, forse sociologi.

Certamente non è necessario piazzare ogni giorno un articolo, che occupa un quarto della prima pagina, sull’evoluzione del dibattito interno al Sinodo riguardo all’ammissibilità di chi si è risposato al sacramento dell’eucarestia. Per l’impatto che può avere sulla quotidianità di una nazione dove  il divorzio e le seconde (e terze) nozze sono metabolizzate ormai da tempo, dove non c’è mai la fila sui sagrati per entrare a messa, e dove la comunione spesso non è fatta nemmeno da chi alle funzioni ci va, meriterebbe una notizia a conclusione del Sinodo e un editoriale nella pagina dei commenti.

Altrimenti diamo pari peso al congresso dei cuochi per stabilire se nella carbonara l’uovo vada intero o si debba utilizzarne solo il tuorlo.

la lettura come gesto reazionario

Occupano le piazze. Ma non sono di sinistra. Né scalmanati di estrema destra. Non ci sono cortei, ma immobilismo. Niente risse, tafferugli, cariche, scontri con la polizia, lacrimogeni. Solo persone ferme, ritte in piedi, con un libro in mano.

Protestano, in silenzio, in favore della libertà d’espressione. Una manifestazione controintuitiva, ma con un fine nobile. Sembrano intellettuali posati ed impegnati, intenti a difendere il valore della cultura e dell’apertura mentale nei confronti dell’oscurantismo della censura governativa.

Una forza tranquilla in difesa della ragione e della razionalità contro l’oppressione del conservatorismo di stato.

Interessante, da approfondire, vediamo di saperne di più dal loro sito.

Ritti, silenti e fermi vegliamo per la libertà d’espressione e per la tutela della famiglia naturale fondata sull’unione tra uomo e donna

Sfugge il nesso. Come si combinano le due cose? Qual è il legame logico? Si possono difendere la pace nel mondo ed il diritto a schiacciare le zanzare? Si può vegliare per scongiurare la fame nel mondo e la tutela del decoro urbano? O per la sanità statale e la crema nei bomboloni?

Quindi? Non sono più radical chic impegnati in una nuova forma di protesta cool? Sono conservatori travestiti? La confusione sotto il cielo è grande.

I primi a tiltare sono i collettivi anarchici, i centri sociali e  l’estrema sinistra. C’è qualcuno che occupa la piazza con modalità differenti dalle loro. Reazione istintiva, da trattato di etologia, attacco belluino con botte, offese, scontri. Hanno invaso il territorio, sia fisico che culturale (la libertà d’espressione), bisogna ribadire con la forza la propria supremazia.

Il problema è reale, le forze del male si mimetizzano e si mischiano tra noi. Copiano i modi di fare del nemico, si appropriano dei loro modi di agire. Tolgono loro gli elementi di identità e di identificazione, ciò che unisce lo schieramento opposto. In questo modo creano spaesamento, rendono malvagio ciò che prima era buono. Un bianco e nero che avanza inesorabilmente cancellando i colori .

La lettura, da che mondo e mondo, è un gesto di emancipazione, serve e a fare crescere il singolo e la collettività, crea idee, fa cambiare opinioni e convincimenti, amplia gli orizzonti dell’individuo, permette la riflessione e stimola il ragionamento.

Cosa c’entra dunque la lettura con questi medievali conservatori difensori della  naturale superiorità della famiglia tradizionale, dell’amore etero, del diritto all’omofobia? Come può la lettura essere il simbolo di gente rinchiusa in sé stessa e isolata dal mondo da una campana culturale di piombo?

Ci hanno rubato la lettura ed i libri. Leggere sarà d’ora in poi un gesto reazionario. Qualcuno che legge in silenzio su una poltrona in libreria? Un omofobo! Persone immerse nella lettura sui mezzi pubblici? Biechi tradizionalisti, bigotti avanzi di chiesa. Le biblioteche? Covi di reazionari.

La lettura come gesto superato, fuori moda, legato ad un mondo retrogrado, di ignoranza,  ripudiato dai giovani perché non popolare e socialmente escludente. Per essere cosmopoliti, tolleranti, progressisti, moderni, mentalmente aperti, rivoluzionari, bisognerà radunarsi in piazza a bruciare i libri.

Non resta che aspettare il momento in cui balleranno lo ska dietro un furgone munito di Sound System per manifestare contro l’aborto.

disoccupazione: dall'utopia al dramma della società italiana

In Italia il livello della disoccupazione è arrivato al 12.6%, con una media di mille posti di lavoro bruciati al giorno nel mese di Luglio.

Ad una base di persone che sono entrate nel mondo del lavoro con un contratto a tempo indeterminato, che hanno quindi un’occupazione garantita e sicura, si aggiunge la popolazione più giovane che ha conosciuto e conosce solamente contratti a tempo determinato, a progetto e assunzioni in regime di libera professione, non garantiti e flessibili.

Il fossato che divide le due categorie, ben distinte per età, tutele e salari, è evidenziato dalla statistica del 42.7% di disoccupazione tra gli under 25: mentre le aziende cercano con tagli, chiusure, cassa integrazione di liberarsi dei primi che sono più costosi e più difficili da smaltire, con i secondi hanno vita facile e maggiore elasticità.

Come può evolvere questa situazione? Tutto il processo di meccanizzazione e di robotizzazione del lavoro (agricolo o industriale che sia) ha avuto come obiettivo e come sogno quello di liberare l’essere umano dalla fatica del lavoro fisico. Il tutto per raggiungere una società ideale dove le macchine lavorano e l’uomo può dedicarsi all’ozio ed all’attività intellettuale o “spirituale” allo scopo di migliorare se stesso e la vita nel suo complesso.

Man mano che il processo va avanti questo progetto si sta realizzando, la manodopera è sempre meno necessaria nei campi, nelle fabbriche e, con lo sviluppo dell’informatica, nel settore terziario. Ormai l’uomo non ha più necessità di prestare la propria forza fisica ricevendone in cambio un salario, ma ha ridotto i suoi compiti a manovrare e programmare le macchine e  supervisionare i processi produttivi.

Chiaramente questa diminuita necessità della presenza umana ha a sua volta limitato drasticamente l’esigenza di avere persone fisiche nei luoghi di lavoro, con una conseguente disoccupazione, che fa fatica ad essere riassorbita dai settori che richiedono ancora capacità non sostituibili dalla “macchina”.

Queste competenze riguardano le peculiari abilità manuali ed intellettive dell’uomo: l’artigianato, il design, la moda, la cultura, la programmazione, il marketing, la ricerca. Insomma attività dove non contano la riproducibilità e la velocità di esecuzione. Ma non tutti i 7 miliardi di persone che abitano la terra, e nemmeno tutti i 61 milioni di italiani hanno delle caratteristiche o abilità particolari, o delle specializzazioni che li rendano unici ed appetibili per il nuovo mercato del lavoro.

Del lavoratore volenteroso, non specializzato, che fornisce la propria indistinta e non qualificata manodopera nessuno sa più cosa farsene: nei settori dove è più conveniente far produrre all’uomo in catena di montaggio che al robot, la lotta per il posto di lavoro è sottoposta ad un’enorme pressione competitiva, sia per l’immigrazione (in Italia), sia per la presenza di paesi che offrono manodopera a bassissimo costo e spingono alla delocalizzazione.

Gli unici che hanno un mercato o un’occupazione sono dunque i consulenti, i lavoratori in proprio, i tecnici specializzati, i laureati con competenze specifiche ed utili al momento economico in cui si trovano. Per gli altri c’è la disoccupazione o l’occupazione parziale, e sarà sempre peggio.

Cosa fare di questa massa di disoccupati? Perché possano dedicarsi all’ozio ed al miglioramento di loro stessi è necessario che vengano in un qualche modo mantenuti dallo stato. Sarebbe necessario perciò un mutamento del paradigma politico verso una robusta redistribuzione del reddito che sfocia in una vigorosa socialdemocrazia o in una forma di socialismo quasi utopico. Nel caso chi si occuperebbe di guadagnare per tutta la collettività? Se si nazionalizzassero tutte le attività produttive, come dimostrano gli esempi storici, cadrebbe la spinta all’innovazione e la varietà di offerta al consumatore. Se si lasciasse l’iniziativa ai privati, con che spirito questi, ed i pochi lavoratori dipendenti, lascerebbero la gran parte  dei capitali guadagnati allo stato perché li ridistribuisca?

Un’altra soluzione è non lasciarli in ozio, ma giustificare in un qualche modo la rendita di sussistenza che andrebbero a percepire. Alcuni potrebbero essere riconvertiti al settore turistico-culturale, uno dei pochi punti di forza sfruttabili dall’Italia, ma quest’ultimo non è abbastanza vasto da assorbire la totalità della popolazione attiva. Gli altri dovrebbero keynesianamente scavare buche e ririempirle, a detrimento della produttività e di un sana competitività economica.

La terza soluzione, quella attuata per ora, è lasciarli al loro destino, sperando che riescano a sopravvivere con le rendite familiari accumulate nei decenni precedenti, e lasciare che siano carne da macello per i talk show che ne spettacolarizzano il dolore. Intanto li si stordisce con promesse di nuovi boom economici impossibili da ottenere, e di riforme  che l’attuale governo non riesce a realizzare se non in minima e ridottissima parte.

In conclusione?  Non ne ho idea, ma ritengo che la situazione non possa che peggiorare, a meno di svolte clamorose e radicali; e che, per chi come me non sa fare nulla, i tempi si faranno sempre più bui.

La sharia può portare le riforme necessarie all'Italia

In questi giorni il ministro Andrea Orlando sta lavorando alla riforma della giustizia. Contemporaneamente dalle terre a cavallo tra Siria ed Iraq arrivano dai membri dell’ISIS minacce di conquista di Roma e dell’Italia con conseguente diffusione della Sharia. La mia opinione è che sia più facile, veloce, e conveniente per tutti farsi invadere ed accettare la cultura e la legge islamica. Quest’ultima infatti presenta quei caratteri di velocizzazione del processo e di certezza della pena che tanti italiani stanno richiedendo a gran voce; inoltre qualora l’esercito di islamici in nero ci attacchi, la nostra società ormai segnata dalla decadenza e dalla mollezza dei costumi potrebbe opporre solamente una resistenza inutile e ridicola. Analizziamo in dettaglio quali sono gli elementi della dottrina e del diritto islamici che potrebbero adattarsi alla realtà italiana, o darle quella svolta riformista che, se fallisse Renzi, solo il califfo Abu Bakr Al-Baghdadi riuscirebbe ad imprimere:

  1. Il Corano prescrive al fedele di ricercare la conoscenza attraverso l’esperienza e l’osservazione della realtà. La natura e l’universo sono presentati come i depositari della verità, che non va accettata supinamente ed ereditata, ma dimostrata e provata oggettivamente. Dunque uno stimolo all’innovazione ed alla ricerca scientifica, quello di cui ha bisogno l’industria italiana per ripartire ed essere competitiva nel mercato globale.
  2. Gli alimenti dannosi sono proibiti e quelli consentiti vanno consumati in quantità moderate. Il beneficio in termini di lotta all’obesità, alla piaga dell’alcolismo, della droga ed i risparmi sulla spesa per la salute pubblica credo siano auto evidenti. Per di più una popolazione sana è più produttiva ed esteticamente più gradevole.
  3. Sono rigorosamente proibiti abiti che inducano orgoglio, vanità ed arroganza; inoltre sono vietati all’uomo ornamenti femminili come i gioielli e l’oro. Si annulla il rischio di certi obbrobri estetici riscontrabili nella realtà quotidiana tra vestiti improbabili e catenoni di dubbio gusto; inoltre aumenta l’armonia sociale.

  4. L’Islam pone grande attenzione al sesso femminile ed esorta uomini e donne ad aiutarlo. Questo permetterebbe di giungere finalmente ad una parità tra i sessi.
  5. Si vieta il gioco d’azzardo. Con un colpo netto di spada si elimina la piaga emergente della dipendenza dal gioco e si stronca una branca economica nella quale trova terreno fertile l’illegalità.
  6. I padroni devono trattare i servi come fratelli, non devono insultarli, vessarli o sovraccaricarli di lavoro. Si riconosce dignità all’uomo ed al lavoratore, così si prevengono pericolosi revanscismi proletari ed istinti rivoluzionari. Nell’Islam non esistono nemmeno le classi: l’ideale per prevenire le divisioni sociali, gli odi tra ricchi e poveri, le proteste, e mantenere tutto il popolo in una pax democratica.
  7. Bisogna portare grande rispetto per il vicino di casa, aiutarlo nel bisogno, condividere con lui il cibo. Questa è un’arma potente per ristabilire lo spirito di comunità, ed eliminare la piaga della solitudine e dell’individualismo, riassumibile nell’espressione “l’estraneo della porta accanto”.
  8. L’Islam è una famiglia unica, nata da genitori comuni e con gli stessi obiettivi. Per questo non devono esistere prepotenze legate ai ceti sociali, al potere politico, alla ricchezza, al prestigio della famiglia, alla razza, all’etnia, all’appartenenza nazionale. Perdono di senso tutti i contrasti della società moderna, può regnare l’armonia e tramontare l’odio.
  9. Individuo e società sono responsabili l’uno nei confronti dell’altro. Il singolo è responsabile del bene comune e della prosperità della società, la società assiste il singolo riguardo alla cura ed alla sicurezza. Si combinano modello assistenziale e solidarietà individuale, per un welfare moderno dove ognuno da il suo contributo ed è responsabilizzato nei confronti della comunità, senza avere la tentazione di sfruttare la società a proprio vantaggio da una posizione di potere, facendosi casta.
  10. La persona ha diritto a pari opportunità e alla libertà d’iniziativa economica, tutto ciò che guadagna è suo a meno di un contributo allo Stato e dei doveri verso la comunità. Il dipendente ha il dovere verso Dio di essere onesto e leale, e i rapporti lavorativi si basano sulla fiducia reciproca. L’articolo 18 non ha più senso di esistere, e si sciolgono le briglie allo sviluppo dell’intraprendenza dei giovani e di chi ha voglia di rischiare in proprio promuovendo il benessere dello stato.
  11. Il commercio, individuale o in società, deve essere onesto, privo di truffa, sfruttamento di monopoli, usura. Si reintroduce l’etica negli affari e nel mercato, e si evitano pericolose speculazioni finanziarie o gli inganni perpetrati dalle banche ai danni degli ignari clienti.
  12. Non vengono deificati né la proprietà e la ricchezza, né il proletariato e la povertà in seguito alla rinuncia dei beni. Si mira ad una tranquilla socialdemocrazia con un’economia sociale di mercato con il fine del benessere collettivo.
  13. Non esiste una casta designata a comandare per diritto divino. Il potere è nelle mani di Dio, e i politici scelti dal popolo devono governare in suo nome per non cadere nel peccato. Scompaiono istantaneamente gli abusi che infestano le pagine dei giornali ed il deprecabile fenomeno della cooptazione.
  14. Lo stato amministra la giustizia e garantisce al popolo sicurezza e protezione, senza differenze di razza o religione. Grande continuità con la costituzione vigente.
  15. Lo stato islamico non può essere guidato da partiti non islamici o soggetti a potenze straniere. Il partito islamico di governo sarebbe l’unico davvero in grado di non farsi sottomettere dalle ingerenze tedesche e di recitare un ruolo da protagonista, da pari a pari, all’interno dell’UE; se non di uscirne senza ripercussioni, ponendo fine ai suoi odiosi ricatti.
  16. Lo statista non è sovrano sul suo popolo ma è il frutto del patto tra il popolo e Dio. È dunque chiamato a fare il volere di Dio e a mettere in pratica la sua legge. Il popolo che non rispetta un governo giusto commette peccato nei confronti di Dio; se il governo non compie il volere di Dio, il popolo ha diritto ad esautorarlo. I politici non potrebbero più disporre della Res Publica a loro piacimento, ma sarebbero vincolati al gradimento del popolo. Mentre i governanti giusti e non capiti, come Renzi o Berlusconi, sarebbero legittimati nelle loro iniziative poco comprensibili o apparentemente dannose, perché in favore del popolo ignaro del volere di Dio.
  17. I capi politici non devono venire scelti in base ad età, razza, prestigio famigliare, ricchezza, ma riguardo al merito ed alla competenza. Finalmente la svolta meritocratica che serve al paese.
  18. Una volta che è stato eletto un governo, il cittadino è chiamato ad osservare e giudicare il suo operato, ritirando il mandato in caso di malagestione: Beppe Grillo è arrivato in grosso ritardo.
  19. L’Islam favorisce la corretta integrazione permettendo alle minoranze di vivere nello stato islamico e di seguire nel privato i propri usi e costumi. In cambio chiede il rispetto delle leggi dello stato e degli obblighi verso la comunità. Risolto il problema dell’accoglienza e della guerra di culture.
  20. Mentire è un grave peccato: basta con le false promesse dei politici, con i processi a favore dei potenti, con i complotti.
  21. L’adulterio è severamente punito: si possono finalmente evitare i drammi e le tragedie familiari, e la gelosia non avrebbe più senso di esistere.
  22. Sparlare è un peccato maggiore: quando si parla male degli altri alle loro spalle è maldicenza se le affermazioni sono vere, calunnia se sono false. Ne consegue la chiusura definitiva di giornali e trasmissioni di gossip.
  23. Viene severamente punita la corruzione, sia per ottenere atti e sentenze che sarebbero dovute, sia per favori o sentenze ingiuste (in questo caso in modo ancora più grave). Una riforma veloce e agile che riguarda contemporaneamente l’inefficienza della burocrazia e lo scandalo delle mazzette.
  24. Il furto mina il clima di fiducia nella collettività e l’equilibrio economico della società: priva l’individuo dei suo beni, ad accumulare i quali ha dedicato la vita, e gli impedisce l’attività economica, a detrimento del benessere di tutta la società. Per questo si punisce il ladro con il taglio di 4 dita della mano destra. Una forma di  giustizia veloce che svuota le carceri e funge da deterrente all’azione criminale.
  25. Chi si macchia di peccato nei confronti di Dio non è degno di esercitare ruoli pubblici. Altra riforma che chiude una volta per tutte un lungo dibattito sulla decadenza e l’incandidabilità.
  26. Le donne non possono guidare: in un colpo solo un enorme miglioramento del livello di sicurezza stradale.

Per tutte queste ragioni ritengo che l’accettazione passiva e senza resistenza dell’islam all’interno del nostro territorio nazionale sia la svolta politica, sociale e morale che può finalmente far ripartire questo nostro povero paese disastrato.

La beneficenza si fa ma non si dice.

Questo non è più possibile nell’era dell’immagine e dei social. Per una giusta causa, raccogliere fondi in favore della ricerca sulla SLA, è nata la nuova moda virale dell’ Ice Bucket  Challenge: ci si rovescia addosso una secchiata di acqua ghiacciata, si dona una cifra, si sifdano altre persone a fare altrettanto.

La sfida è nata tra i VIP statunitensi, come è giusto che sia;  sono loro che hanno i soldi, ed il modello di beneficenza di quella nazione prevede il forte contributo volontario e privato, che ha sempre sostituito un consolidato welfare in stile europeo. Il gesto risente molto del clima culturale contemporaneo: va filmato, quindi diffuso per farsi vedere, per ribadire la propria immagine; inoltre è condizionato dall’idiozia autolesionista sdoganata da Jackass, ma ridotta per l’occasione a qualcosa di gestibile da tutti, pur rimanendo ridicolo.

Dalla visibilità nasce il problema, e la tragedia, della viralità. Dai ricchi e famosi “americani” la moda si diffonde e contagia sportivi e personaggi pubblici degli altri paesi. Da questi il virus è poi trasmesso a cascata a categorie sociali sempre più improbabili e grottesche.

Lo spirito di emulazione ed il bisogno di appartenenza ad un gruppo produce una serie di filmati scadenti e ripetitivi che intasano le homepage di facebook e di twitter, in una serie di nomination incrociate e di ricatti morali. “Io l’ho fatto, faccio parte dell’elite, fatti contagiare anche tu e sii felice fondendoti nel nulla collettivo”. È lo stesso principio che ha sancito il successo delle miriadi di braccialetti associati ad una qualche campagna e dell’Harlem Shake della scorsa estate.

Lo scadimento è stato immediato quando il Challenge ha coinvolto lo “star system” italiano, forse per quel caratteristico retrogusto trash che assume tutto ciò che viene toccato dai nostri personaggi pubblici. L’affossamento definitivo nel momento in cui a farsi filmare è stata la pletora di youtubers e star da social, i quali per sfruttare il loro potere di disintegratori identitari hanno ripetuto il rito più volte e hanno organizzato flash mob con esecuzioni di gruppo della sfida.

Naturalmente non si è fatto scappare l’occasione Renzi, che sull’apparire e sul fare quello che piace alla gente comune ci ha costruito una presidenza: calato a pieno nel suo ruolo pionieristico, è chiaramente il primo politico che partecipa al Challenge, dimostrandosi uno del popolo, con l’obiettivo di riavvicinare quest’ultimo e la “casta”. Peccato che a causa del suo ruolo avrebbe i mezzi per sostenere la ricerca sulla SLA ben al di là della donazione personale; ma farlo attraverso i decreti avrebbe una visibilità diversa.

Il fondo si tocca e si scava negli ultimi giorni con i filmati fatti male di gente sciatta, che in ambientazioni di pessimo gusto si tira addosso in modo sgraziato delle secchiate d’acqua gelida; ne seguono improbabili nomination di parrucchieri, macellai e vicini di casa, come fosse una gara di gavettoni.

La curiosità è tutta nel vedere come proseguirà questa moda (spero nel modo più truculento possibile), attraverso step che mi piace immaginare siano: tagliarsi il palmo della mano, farsi staccare un dente da una macchina in corsa, farsi marchiare a fuoco. Per un gran finale con la Roulette Russa Challenge.

La rivoluzione della politica e della società italiane

Per il secondo trimestre consecutivo il PIL dell’Italia è negativo, siamo perciò tecnicamente in recessione.

Questa notizia sembra una dura mazzata dopo i sacrifici  imposti dai governi Monti-Letta e la ventata di ottimismo portata dal nuovo primo ministro Matteo Renzi. Dunque le riforme, le promesse, lo slancio entusiastico propugnati in questi mesi sono state vane speranze perdute nel vuoto, o peggio ancora prese per i fondelli?

Tutt’altro!

Il progetto di Renzi è una difficile trasformazione a tutto tondo della società italiana, forse ancora condizionato dall’idea dell’uomo nuovo dei regimi totalitari del secolo passato; le riforme che con passo spedito sta imponendo al paese riguardano un sistema politico più snello ed efficace, lo smantellamento delle rendite di posizione e delle burocrazie che ostacolano la libera espressione dello spirito imprenditoriale, la lotta al fisco opprimente, la meritocrazia e la valorizzazione dei giovani talenti.

La parte più importante del progetto, ma la più difficile da comprendere e da accettare per un elettorato ed un popolo abituati a ragionare in maniera vecchia e sclerotizzata, è quella della decrescita felice.  L’abbassamento progressivo e costante del PIL è in realtà un grande successo, cercato, voluto ed ottenuto con l’obiettivo di mettere l’Italia in prima fila e darle un vantaggio competitivo sulle altre concorrenti. Ormai l’idea di una crescita magnifica e progressiva del Prodotto Interno Lordo è vecchia e  superata, d’altronde

 Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista 

(Kenneth Boulding)

L’errore di Renzi è non aver sostituito questo indicatore con un ben più significativo indice di benessere complessivo. L’italiano sta imparando a godere dei piaceri naturali che la nazione può offrirgli: il mare, il sole, la pizza, i prati verdi, l’ottimo cibo, le belle canzoni, i soldi dei nonni e dei genitori. Sta finalmente affrancandosi dal suo ruolo di consumatore stupido e ammansito dalla TV, e sta riscoprendo la bellezza della povertà, e tutta la felicità che in essa può ritrovare.

Non c’è soltanto la dilapidazione irreversibile dell’ambiente e delle risorse non sostituibili. C’è anche la distruzione antropologica degli esseri umani, trasformati in bestie produttrici e consumatrici, in abbrutiti zapping-dipendenti

(Cornelius Castoriadis)

A testimonianza di come questa mentalità stia piano piano facendo breccia nella popolazione c’è la questione degli 80 euro in busta paga: questi non hanno in alcun modo favorito i consumi e non hanno dato alcun impulso alla crescita economica; nonostante la tentazione, la golosa esca all’amo, l’italiano ha dimostrato una maturità commovente.

Questo ritorno ad Arcadia volenti o nolenti si abbatterà sull’intera popolazione mondiale; i nuovi modi di produzione e gli impressionanti sviluppi dell’ Intelligenza Artificiale ci portano verso una organizzazione aziendale dove l’impresa impiegherà solo un uomo ed un cane: l’uomo deve nutrire il cane ed il cane deve tenere l’uomo lontano dalle macchine.

Abituarci prima degli altri alla povertà è un grande favore che Renzi  ci sta facendo e lo sta facendo molto bene, lottando in un mare in tempesta contro i pregiudizi e le mentalità retrograde. Non so quali saranno i prossimi passi della rivoluzione, ma li attendo con grande curiosità, e sono convinto che non sia lontano il giorno in cui la recessione tecnica non verrà subita come un lutto ma presentata e festeggiata come un successo.